Cuori di barbari
Ianthìs, figlio della steppa e del sole,
signore di tutto, fin che arriva lo sguardo,
suddito solo agli ambrosii dettami del cuore
era appreso d’amore per la bella Dorinthia:
del proprio cuore intrepida, orgogliosa signora.
Abitava una fiorente città, ricca e potente,
cinta da mura imponenti, con porte di bronzo.
Lui la strinse d’assedio, fu spietato e tremendo:
voleva conquistare anche il cuore di lei.
La splendida città lentamente moriva,
anche Dorinthia con essa intristiva e sfioriva.
Ianthìs si vide la causa di tanta sventura:
«Amore dunque non è, se tanto è il dolore,
né ricerca il mio cuore l’amor d’una schiava».
Di tutto il suo esercito rimase lui solo.
Attese paziente, dalla città mai giunse risposta.
«Ascolta, Dorinthia, sono principe nomade:
un sussurro di vento e già sono in sella.
Guarda, Dorinthia, ti lascio come fiero trofeo
su tartara lancia sanguinante il mio cuore.
Addio, Dorinthia, l’orizzonte non è più lontano:
ho piccolo seme d’altro amore nel petto.
Da te lo appresi e per entrambi ora valga:
voli in alto l’amore sull’aquila della libertà».
Esine, 1984
Già pubblicata su «El Caròbe” nr. 3 (1984), p. 154.
Indietro nel tempo Cèlio e il suo aquilotto
Cuori di barbari by Vittorio Volpi
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