Tacchini


A momenti vien giorno nella campagna ancora assonnata;
stamane son muti gli storni nel folto degli alberi.
Proseguo col cane pel viottolo che porta fra i campi.
Davanti alle baracche dove s’allevan tacchini
ansima un camion già pronto a partire:
già so che vuol dire…
Il mio cane li mangia: ali, colli, a volte persino bei fusi polposi.
Oggi al macello e domani li andremo a comprare.
Mi faccio da parte per farlo passare:
avanza sotto l’arco che fanno le piante
lentissimamente, e poi c’è anche un lungo rimorchio.

Gabbie stipate in bell’ordine, una sull’altra:
le han spinte di forza fino in fondo alla fila
incuranti di zampe o di dita senza stecca d’appoggio
che si son frantumate, che son sanguinanti, all’osso sbucciate
o prigioniere e dolenti fino a destino,
di colli anzitempo strozzati sol perché sporti al di là delle sbarre.
Perché tanto…
Non s’ode una voce, nessuno di essi che pigoli o s’agiti.
Piccoli occhi cerchiati di rosso allocchiti mi guardano.

Nelle baracche dov’eran allevati a numero e peso
non vedevano mai la luce vera del giorno, né il cielo su in alto.
Le vetrate eran alte, incrostate, non mai le pulivan,
non lasciavan filtrare che debol chiaror tristo e malato;
altrimenti il bianco tagliente dei neon
o la lampada rossa che bruciava vicino e nulla scaldava.

Sbalorditi annusano l’aria fine dell’alba.
Che prati stupendi che folte brughiere!
È lì che ci stanno portando?
Che bello il colore del verde e l’oro del sole e l’azzurro del cielo!
È un paradiso qua fuori: questa è vita per noi.
L’aria fredda trapassa le gabbie, ma è sana, pulita.
Che bel mondo là fuori, com’è tersa la luce:
noi abbiam penne che son nere di palta e di guano.
Ad un tratto un tacchino sembra svegliarsi,
volge attorno la testa come udisse una voce chiamarlo,
gloglotta e riglotta contento per la gran novità.
S’avvicina a una femmina: si lisciano i colli l’un l’altro:
s’arrossan di gioia le creste e i bargigli.
Già vedon d’attorno a pastura nel verde di un prato
una candida frotta affamata di bei tacchinini.
E sognano intanto… perché è qua primavera.

Sono entrati dopo il bel viaggio in un gran capannone
acquaticcio per terra e dai rimbombi metallici.
Ogni tanto isolato l’acuto allarmato richiamo
di un fratello impazzito per un presentimento fulmineo.
L’aria è intrisa di vapori dolciastri che sanno di sangue;
odori di sebo disciolto, di penne bagnate, di pelli nudate;
non voglion vedere i lor simili che li han preceduti
appesi pei colli ad uncini cromati, disinfettati…
…un dopo l’altro in orrida fila che dondolando se n’ vanno.
Uno sgricciolo di cupa ed ignota paura accappona la pelle;
si spintonan l’un l’altro, brividenti, nell’andito angusto
sino alla fine del nastro, incontro alle mortifere pinze
che mandano elettrici scocchi e fumiganti scintille…

* * *

Lungo la strada un dei tacchini ha lasciato cadere
una candida, morbida piuma, vaporosa e leggera,
come pensier delicato, una bella promessa
o un saluto d’addio…

Cremignane, 4 febbraio 2010

 

Risposta dell’olmo O dèi della notte

 


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