Troppo mare

Mi verga col calamo un canto nuovo e gradito,
mi tocca le corde più sensibili e intime,
mi esplora con l’eco sonora le volte e i budelli.
Alla testa del rigo è indicata la chiave più consona:
musica forte e scandita, guerriera e virile.
Si sa che il ritmo battente e monotono porta alla trance.
Il cantore non deve incantarsi;
è indenne all’effetto che in altri produce.
Salvo poi suonare con foga, quando vede più ascolto.

S’avanzan sull’onde schiumanti i cavalli del mare:
Afrodite, la dea, è tutta un languore
e sul talamo annuda persino la furia bellicosa di Ares.
Non c’è da combatterla se già i ceppi ti ha messo,
se già ti sommerge e risputa Cariddi,
se già senti guaire le gole forsennate di Scilla:
nelle sue canne canine qualcuno dei compagni s’inghiotte.
Fa d’uopo evitar le Simplègadi
che non frantumino e testa e naviglio.

Il troppo sale dà nausea,
il troppo mare fa scordare la patria.
Ho voglia di terra, di viti ed ulivi;
un letto dove avere radici e buttare germogli.
È troppo sempre l’azzurro del mare e del cielo,
voglio anche il verde dell’erba, le spighe dorate,
i papaveri rossi e il fecondo color della terra.

Voglio fermarmi, parola di Ulisse.

 

Cremignane, 31 maggio 2011 (notte)

 

Il leprotto Onidala (Aladino al rovescio)


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