Elisa

Elisa

– Mi riempi di palle... – e dopo un attimo di esitazione, sapendo bene di toccare un nervo scoperto, – sarà perché le palle vere, tu non sai davvero che cosa sono!

Piero mugugnò, colpito nell’orgoglio di maschio. Si accese una sigaretta, per sfida, per rivincita, sapendo bene che lei odiava il fumo in camera.

– Non farti più vedere. Matura nel frattempo. Non mi basta il tuo snap per correr da te...

Piero fece una smorfia, distese la mano sopra il lenzuolo a sistemarsi i cosiddetti... Poteva anche rivestirsi...

– ... non sono ancora la tua serva. E ora vestiti e raus!

Con gesto sicuro, Elisa si allacciò il reggiseno sulla schiena, si rivestì e sparì in cucina. Preparò una moka da uno e accese il fornello.

Piero non aveva più voce. Non sapeva se urlare o mettersi a piangere. “Le donne son tutte puttane” pensò e raccolse dalla sedia le mutande. Si guardò il cespuglio dei peli e il ciondolo inerte. Fece con la bocca una smorfia, inghiottì. Elisa aveva ragione, ma lui voleva sentirsi scanzonato, voleva vivere, divertirsi. Cazzo! Non era ancora ai quaranta! Prendersi la vita... Sì, col leasing del SUV. Si infilò di malavoglia canottiera e camicia. Seduto sul letto si tirò su i pantaloni. Si alzò, sapendo che era l’ultima volta. Si guardò in giro come a memorizzare qualcosa che gli sarebbe mancato.

Stringendosi il nodo della cravatta si piacque, fiero e spavaldo: “Ah, le donne! Chi crede di essere? E venire a farmi la predica!”

Ma qualcosa cuoceva, friggeva, non voleva passare.

“E poi, scusa, così non si fa! D’un tratto ci ripensi e non ti va più! Mi prendi in giro, per caso? Va bene, tolgo il disturbo... Amici come prima, un corno! E dici che io ti racconto palle? Come mi conoscessi da ieri! No, cara mia! Non mi cambi le carte in tavola. Sei tu che sei fuori. No! non l’ho vista la mail. Non mi va di leggere le tue fregnacce. Se mi vuoi sono così. E non venirmi a cercare. E perché mi hai aperto, se non volevi vedermi? Il letto lo rifai tu! Sei tu che pensi che abbia solo quello in testa. È vero, mi sono sbagliato: davvero non sei quel che pensavo! Non abbiamo proprio costruito niente in questi anni? Dici che son balle quando ti dico che ti voglio bene? E tu, quante volte me l’hai detto? Abbiamo fatto sesso, ma quando abbiamo fatto l’amore? Mai! E non è colpa mia! E non darmi adesso del bambino. Si può sapere che cosa volete? Eh, no; sottomessi, ricattati con la carotina, mai più!”

Con gesto quasi rabbioso aveva afferrato la borsa del computer. Si affacciò al cucinino...

I capelli un poco in disordine di Elisa gli confermarono che non faceva per lui, definitivamente. Non aveva nulla da perdere.

– Buono il tuo caffè, me lo ricorderò!

– Sparisci, bidone!

“Mi rimpiangerai, stronzetta!” pensò. Ma come rappezzo non funzionava; gli fornì tuttavia quel tanto di brio per un sorrisetto ironico:

– È stato un piascere, madame, – strascicò alla francese, mimando il saluto dei tre moschettieri.

Elisa finì il suo caffè senza badargli e risciacquò la tazzina:

– E ora fila, che ho da fare.

– Aspetti visite? – punzecchiò Piero. E si beccò uno schiaffo sonoro che rimbombò nel silenzio.

– Ricordati anche di questo, quando pensi a me!

– Ho capito, hai le lune! Ma ti dico una cosa: non venire a cercarmi quando ti sentirai sola in quel letto troppo grande!

– No di certo! – e gli aprì la porta d’ingresso.

Piero capì di essere solo nella via deserta, alla fioca luce dei lampioni. Non era ancora mezzanotte.

 

Cremignane, 15 ottobre 2011

 


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