Il portiere

Il portiere


[durata: 9:03]

Fine luglio. Quest’anno il tempo ha fatto quel che ha voluto. Come al solito! Acqua n’è venuta. Almeno non si è sentito tanto il caldo. Gli allenamenti continuano a rilento, e praticamente siamo convocati solo in vista di qualche amichevole.

Nell’ultima amichevole m’è capitata una cosa che sono rimasto di sasso. E ancora non ci credo. Sembra un sogno, oppure un racconto di fantasia. Non può esistere nella realtà. Eppure m’è capitato!

La faccio breve.

Partita: domenica tardo pomeriggio, sul campo neutro di Iseo, fra la nostra squadra e quella di un paesino del Mantovano in ritiro sul lago.

Sto lavorando come cameriere in un bar. È uno stage. Mi sfruttano. Ma i miei non mi vogliono vedere a casa davanti al computer o a rompere i timpani con la mia musica. Ho compiuto diciassette anni da poco e il mondo comincia a farsi complicato, pieno di gente, di visi, di cose da fare, di cose che fanno altri, di cose che sento che fanno. E la girandola dei visi di ragazze... i loro sorrisi, le loro morbide mani paffutelle, delicate, le unghie laccate, il rossetto, l’ombretto, le ciacole e i loro lustrini. Ci son dentro che ballo.

Sono alto, asciutto. Un po’ lento, mi dicono. Impiego troppo a capire le cose. Le vedo come in un film, come se non mi riguardassero. E poi mi cadono sui calli all’improvviso e fanno un male boia. Il capo del bar è uno... beh, io non dico parolacce, ma avete capito. I o dovrei fare sorrisini a tutti perché attiro la clientela! Lo so benissimo che è un sorrisino stampato: quasi quasi mi faccio la plastica, lol.

Mi metto d’accordo con l’altra stagista e mi libero due serate per gli allenamenti.
Sento qualcosa nell’aria. Non è una partita importante, eppure è come se lo fosse, mi sento carico. Gioco da terzino, non è che abbia molte occasioni per fare dei goal.

Chissà com’è vivere a Mantova, Pianura Padana, nebbia d’inverno, tutto piatto, il Po... Senza il lago come fanno d’estate? Trovo la foto della squadra su Internet, hanno anche una pagina su FaceBook. Noi non ancora, perché nessuno si impegna. Io per primo. Sembran tutti bravi ragazzi, cocchi di mamma. Uno ha la barba, uno è piccoletto. Come noi, insomma.

Mi chiedo perché mi incuriosisca tanto quest’incontro. È inutile, non lo so.

Conosco ormai tutti i nomi: Vanini, Vecchi, Rodella... Tumeo (!), Daolio, Cirelli (il portiere), Luppi, Pachera (occhio a questo, con un nome così!)... Cirelli. Ritorno a guardarlo: ha qualcosa negli occhi, la bocca vuol dirmi qualcosa... ha un’espressione dolcissima, come non fosse lì...

Mi ripasso le ghigne dei visi, mi studio l’avversario. Con due dita mi faccio due strisce nere di guttalin sugli zigomi: mi faccio una faccia da duro, perché se mi specchio mi sento un molliccione di burro. E poi ha ragione l’allenatore di dirmi: «Sei troppo buono. Dacci dentro! Sfonda, pappamolla... Falle le flessioni a casa!... Imbranato». Quando mi dice imbranato m’arrabbio e invece di reagire lo mando a quel paese (tra me); e se non fosse perché ho pagato, perché i miei mi hanno comperato il motorino apposta, pianterei tutto e giocherei alla Play.

Però mi diverto anche. All’intervallo fra i due tempi negli spogliatoi il vocio è frastornante, tutti che gridano, urla l’allenatore, qualcuno che litiga, bega, sbraita... altri si battono cinque sonori a non finire. Andry è simpatico, ha sempre un complimento per me... e io non riesco a ricordarmi nulla di carino di lui: una bella azione, un attacco, un bel tiro... per contraccambiare. C’inventiamo l’ira di dio per non perdere la concentrazione, siamo solo a metà, e tutto può ancora succedere.

Anche alla fine della partita è bello: sotto le docce a spruzzarci con i getti di shampoo, a scivolare sulle piastrelle a piedi nudi e far cadere qualcuno urtandolo per i calcagni. Anche quando perdiamo c’è sempre qualcuno in vena di scherzi che ti strappa l’asciugamano e si scompiscia dalle risate a vederti il culo nudo.

Arriva finalmente la domenica pomeriggio.

Cammino sulle nuvole! Mi sento leggero, un’emozione m’ha preso, come fosse un appuntamento. La mia solita flemma mi copre, non lascio trasparire gran che: ma faccio scintille, la testa mi sbatacchia di qua e di là, ho già il fiaton e, ma per l’emozione. E mi ci butto, sono un catenaccio, non passa una palla che è una. All’intervallo siamo uno a zero per noi.

A metà del secondo tempo mi arriva alta una palla, la colpisco magistralmente di testa. Tutti mi sono addosso. Il rimbalzo è lungo e scatto per primo, corro come non ho mai corso in vita mia, un dribbling per quanto è lungo il campo. Arrivo quasi in area, sto attento al fuori-gioco: i terzini sono statue di marmo. Un occhio alla palla e l’altro al portiere: Cirelli, Massimo Cirelli, pronto a scattare, biondino, labbra tese, sguardo attento, dà sulla voce ai difensori, ma inspiegabilmente non si muovono. Fermo la palla col piede destro, pronto a tirare.

Mi viene improvvisa una tremarella alle ginocchia, la vista mi diventa un po’ fosca, mi ritorna il fiatone di prima, quello dell’emozione: e che è? “Ci siamo!”, mi dico. Rimango imbambolato, basito a fissare in volto il portiere. Son senza fiato: mai visto nulla di simile, bellissimo! da sogno! “Non sono gay!” mi dico nel pensiero e so cosa dico! Rifiato. Sento il tamburo del cuore che mi batte profondo, serrato nel petto. Chiudo gli occhi e scuoto forte la testa come per svegliarmi, perché mi pare un sogno davvero: il volto è ancora là, me lo inghiotto dal bello che è, un paradiso... Un respiro profondo, cerco di concentrarmi, ma poi lo riguardo: “Stupendo!” e mi sento attirato, son risucchiato entro quel vortice, e sul fondo vedo solo il suo volto. Scoppio, mi scappa da ridere, mi commuovo dal contento che sono, dalla meraviglia che vedo, e ancor non ci credo, esiste, dio buono, e son qui che lo guardo! Mi sto innamorando...

Sento gli avversari arrivare. Calcio la palla lontano che tanto più non m’importa e corro verso il portiere. Sono matto, lo so, non son più io che comanda, va tutto da sé. Prendo fra le mani il suo volto, lo bacio, ribacio e non rifino che è un attimo. Sento il fischio dell’arbitro. Mi stacco: “Ti voglio bene” gli dico.

Mi sento in una boccia di vetro, non sento i fischi, le urla, è tutto una gran confusione, un rimbombo dentro le orecchie; mi sento rossa la faccia, non capisco più nulla. Mi volto a guardarlo ancora una volta. Con le maniche si pulisce le labbra, scuote la testa, più sorpreso di me.

Mi riesce persino una capriola volante all’indietro. Faccia a terra, allargo le gambe e le braccia.

Arrivano con una barella, mi portano chissà dove. Ripeto in continuazione il suo nome e sono con lui nel mio paradiso.

 

 

Iseo, 25 luglio 2014

 


Creative Commons License

Il portiere by Vittorio Volpi
is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.

On line dal 25 luglio 2014

Copyright © Vittorio Volpi - 2014

.