Nina

(ricordo di Nina Kaucisvili, Berlino 1919 - Milano 2010)

 


    

Sono stato allievo di Nina negli anni ’70... e lo sono sempre stato.

Perché il suo insegnamento ha continuato a crescere, seguendomi giorno per giorno.

Ma dire insegnamento è poco. Mi ha dato due cose: il gusto per la scrittura, per la cultura in generale, come afferrarla, analizzarla, goderne e insieme gli strumenti, la “vista”, il “naso”, per vedere e valutare se una certa direzione di studio poteva valere il tempo, perché ne derivava una migliore qualità della vita.

Certo, come dimenticarsi di Propp, di Lotman, di Dostoevskij, Gogol´... di un’intera biblioteca europea e “circolante”? Mi ha trasmesso, ora che ci penso (perché ormai è un tratto talmente connaturato, che quasi dimenticavo a chi ne ero debitore), un modo “spirituale” di vedere la realtà, la vita quotidiana: quello sguardo che sa vedere tutto, ma coglie come importanti solo quei tratti che ci accomunano come uomini, un punto di vista “più alto”, anzi più “intimo” perché sa scrutare dentro gli altri uomini, dentro i fatti e in definitiva anche dentro noi stessi. Da qui il senso stesso della vita, da qui l’esigenza di comunicarlo agli altri nelle varie forme espressive e altrettanto significative, non banali, non per solo intrattenimento o peggio ancora per evasione; da qui una sensibilità, un occhio di riguardo a quel che di speciale ognuno si porta, quel tratto umano che arricchisce tutti gli altri.

E così si è ancora più ancorati al presente, partecipi della vita, nostra come di chiunque altro, un modo di essere che ci pacifica, perché tiene alla porta i futili rovelli, le inquietudini adolescenziali, le domande troppo grandi; che ci dà coscienza di noi, che ci fa vedere in tutto simili ad altri uomini, che ci tiene stretti alla vita, come ad una prova tangibile, incarnata in noi, di qualcosa che ci trascende (noi tutti insieme, noi singolarmente) perché dallo studio (meno che mai “matto e disperatissimo”), dalla letteratura si traggono continue assicurazioni sulla sostanziale bontà del mondo e dell’uomo.

Da qui, come naturale conseguenza, la necessità dello studio, inteso non come dovere, come lavoro, ma come apertura della mente e del cuore, una finestra che si apre perché fuori, parafrasando Manzoni, “la c’è la primavera”. Una brezza che ci accarezza, uno sguardo che abbraccia, che s’incanta del mondo, davvero una “favola bella” che continua a rapirci come quando eravamo bambini.

 

Solo scrivendone ora mi sto rendendo conto di quanto mi ha dato...

 

Iseo, 7 gennaio 2010

 

Pubblicato anche in Ricordando Nina (a cura dell'Associazione Con la Georgia nel cuore)


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