Oberto Ameraldi: Brescia : Fondazione Civiltà Bresciana, 2000. - (Cattolici & Società ; 11), p. 453-473. |
9.06. Orzinuovi, la guerra, l’epurazione (parte sesta)
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Il nuovo anno scolastico iniziò il 18 settembre. Mantenevo anche la supplenza a Verolanuova, tuttavia la nomina del nuovo direttore era imminente.
All’atto delle iscrizioni, i genitori degli alunni dovevano esporre per iscritto (con data e firma) il desiderio che i loro figli, durante eventuali allarmi aerei, venissero o no lasciati liberi.
Le difficoltà furono subito molte. Quarantasei alunni di una classe di sfollamento non avevano ancora l’insegnante e il Provveditore non era in grado di istituire un nuovo posto di ruolo. Gli alunni erano numerosi e sarebbero potuti aumentare nel corso dell’anno. In alcune sedi, causa la mancanza dei locali, requisiti o inidonei, si era dovuto adottare l’orario unico, per consentire il doppio turno, con generale malcontento.
I primi giorni di ottobre si susseguirono gli attacchi aerei ad Orzinuovi e nei comuni vicini. Si aveva paura a percorrere le strade, spesso falciate dalle mitragliatrici. Rileggendo le relazioni che mandai in Provveditorato, mi sento ancor oggi agghiadare. Da anni avevo ricacciato in un cantuccio della memoria quei momenti:
Domenica 1° ottobre i comuni di Orzivecchi e di Pompiano sono stati oggetto di offesa aerea nemica: una ventina di bombe sono cadute in prossimità dei 2 paesi provocando cadute di vetri e grave panico tra la popolazione.
Ieri, martedì 3 ottobre, sempre sulle stesse località si è ripetuta l’azione aerea nemica con intenso mitragliamento dell’abitato di Pompiano (seguito dall’incendio della casa della maestra Benedetti) e dei dintorni di Orzivecchi.
Questa mattina mi sono recato sul posto anche perché il Podestà di Orzivecchi intendeva chiedere la chiusura delle scuole ed in tale senso mi aveva inviato una richiesta scritta.
Ho potuto convincere il Podestà, alquanto rasserenato, a tener aperte le scuole che già questa mattina contavano il 75% dei frequentanti.
A pure la stessa situazione peggiorata dal fatto che non vi erano quasi alunni; da domani però ho avuto l’assicurazione dei maestri che la scuola riprenderà normalmente a funzionare.
Qualora non si vada verso una rapida ripresa della normalità mi riservo di riferirVi tempestivamente proponendoVi le soluzioni che già intravedo opportune per risolvere adeguatamente i problemi che questa situazione eccezionale ci pone davanti.
Ieri, nelle prime ore del pomeriggio un aereo nemico (mentre altri aerei sganciavano bombe e mitragliavano sui 2 ponti dell’Oglio già fatti oggetto di offesa nemica per altre 6 volte) lasciava cadere 2 bombe in piena Orzinuovi (è la seconda volta che Orzinuovi viene colpita) danneggiando seriamente l’ospedale cittadino ed alcune case vicine e ferendo più o meno gravemente alcune decine di persone tra malati ed infermieri.
Nelle 10 classi del turno pomeridiano non si ebbero feriti, nonostante siano andati in frantumi vari vetri.
Anche la Direzione ha subito il crollo del lampadario e di 2 vetri senza però causare ferite alla Sig.ra Assandri che lavorava in ufficio, mentre io mi trovavo in direzione a Verolanuova.
La scuola oggi ha ripreso a funzionare e questa sera ho creduto opportuno riunire gli insegnanti per praticar loro una iniezione di coraggio e di buona volontà, necessari perché la scuola assuma al più presto la sua normale fisionomia.
La scuola era un posto di “combattimento civile”: diserzioni, viltà, codardia non erano ammesse.
I bambini delle cascine e delle case sparse non erano più sicuri, le assenze più che giustificate.
Ma la provvidenza ci riserba sorprese nei momenti più inaspettati e ci rianima ad aver fiducia in Dio e negli uomini.
Il cavalier Settimio Tosoni, proprietario della cascina “Terraverde”, lungo la strada fra Ovanengo e Borgo San Giacomo già due volte mitragliata dagli apparecchi, metteva a disposizione un locale riscaldato per i trenta bambini della cascina e la somma di lire 4.000 pari a metà dello stipendio del maestro; l’altra metà l’avrebbe stanziata il Comune di Orzinuovi.
A Verolanuova fu nominata a metà ottobre la nuova direttrice, Barbara Lò, che già conoscevo perché oltre ad essere maestra del luogo, eravamo stati compagni di scuola. Mi volle ringraziare con parole che mi parvero troppo generose nei miei riguardi:
Credo di interpretare i sentimenti di tutto il corpo insegnante, esprimendo un grazie di cuore al Direttore Oberto Ameraldi per l’attività che egli qui svolse, nonostante il grave disagio, con una solerzia ed un entusiasmo veramente singolari, nel periodo di vacanza di questo Ufficio, e formulando auguri sentiti per il suo avvenire.
A mia volta ringraziai i maestri e dopo aver ricordato l’esempio del direttore Spedini, davo il benvenuto alla nuova direttrice.
Avevo ora tutto il tempo per dedicarmi alla direzione di Orzinuovi.
L’inverno si preannunciava come uno dei più rigidi a memoria d’uomo, non l’aveva mangiato il lupo, i l’ìa mìa maiàt-fo ’l lùf. Scarseggiavano legna e carbone; difficile trovare una stufa sufficientemente grande per scaldare un’aula. In molte sedi si era già iniziato con l’orario alternato e ridotto di qualche decina di minuti, sempre per risparmiare sul combustibilee per sfruttare fin che si poteva la luce naturale. Il doppio turno permetteva a alunni di una stessa famiglia ma frequentanti turni diversi di incontrarsi e consumare insieme la refezione del mezzogiorno. A Quinzano e a Borgo San Giacomo le Forze Armate Germaniche avevano requisito buona parte delle scorte accantonate dall’Autorità Comunale, cosicché si poteva pensare di durare solo fino a gennaio. Né si poteva assicurare che medesima sorte non potessero subire i depositi degli altri comuni.
I campicelli scolastici erano a buon punto:
A PEDERGNAGA ed a ORIANO 2 appezzamenti di circa 100 mq. da adibire ad orto; A esiste già il campo che ha dato anche quest’anno oltre un quintale di granoturco: sono circa mq. 600 di terra; A c’è un orto modesto: ora stiamo trattando per avere, oltre all’orto un centinaio di mq. di terra.
A CONIOLO oltre all’orto già esistente, il Sig. Ruggeri ci ha concesso un’area di oltre 150 mq. di terra che coltiveremo razionalmente, secondo le direttive e gli aiuti del munifico proprietario già sopra citato;
A MALPAGA il conte Massetti ci ha dato l’area richiesta;
A PUDIANO oltre all’orto già esistente, il Sig. Ruggeri ci ha cconcesso un’area di oltre 150 mq. di terra che ccoltiveremo razionalménte, secondo le direttive e gli aiuti del munifico proprietario già sopra citato;
A ORZIVECCHI il conte Massetti ci ha ddato l’area richiesta;
A BONPENSIERO di Villachiara ci è stata concessa un’area di circa 150 mq.;
A VILLACHIARA oltre all’orto, questa mattina il Podestà mi ha concesso un tratto di campo di frumento, con coltura già iniziata. Resta soltanto che segnare la delimitazione.
A ricordarci che in guerra si era, giungevano in continuazione notizie di bombardamenti, di eccidi, di atrocità.
All’Annunciata di Borno fu piazzato un cannone che sparava contro i monti di Esine e Berzo, mentre il comandante dei partigiani del settore di San Glisente, con gesto più teatrale che simbolico, faceva giurare i ribelli sulla propria pistola.
Il mio superiore degli anni della Spagna, Carlo Emanuele Basile, divenuto sottosegretario per l’esercito, in un incontro al “Grande” di Brescia parlò della Guerra e le nuove armi. Leggendo poi il resoconto compresi che noi Italiani non avevamo più cartucce, se tanto speravamo nella nuova formidabile arma dei Tedeschi. E la nostra fede doveva essere caduta molto in basso se poteva essere derisa: «Sembra che per una serie di circostanze puramente contingenti gli alleati possano ora vantare una supremazia e proprio ora la nostra fede viene derisa; ma a questa derisione si deve opporre il nostro fermo credere: la Germania ha in pugno la propria sorte e non si lascerà sgominare». Alate parole, coperte dal fragore degli applausi!
Verso la fine del mese di ottobre i Tedeschi operarono un vasto rastrellamento in Valcamonica e Valtrompia.
Mentre alle scuole venivano richiesti libri da inviare alle lavoratrici italiane in Germania, cominciavano a diffondersi notizie terrificanti e a tutta prima incredibili su quanto avveniva nei Lager: non si capiva se fosse la verità o esagerazioni dell’ufficio propaganda nemico.
Il 5 novembre venne mitragliato il battello del Lago d’Iseo e il giorno dopo, stessa sorte toccò al battello “Zanardelli” in arrivo al porto di Limone, con un bilancio di 12 morti e 17 feriti gravi.
Natale Bonardi, un passeggero di Predore, che aveva perso la moglie nel mitragliamento vicino a Montisola, improvvisò una “Rima canzone”: stampata su un foglio volante, venne distribuita subito dopo l’eccidio; l’ultima strofa diceva:
Et è con questa gran fede nel cuore
che il sol compenso l’avremo dal Signore:
Per l’atroce et immenso dolore
per colpa vostra sofferto quaggiù
che la forza di viver sperando troviamo ancor.
Gli aerei si volsero poi a bombardare l’abitato di Sale Marasino, sganciando 40 bombe. Cinque persone persero la vita; alcune case furono distrutte e il Palazzo Martinengo gravemente danneggiato.
In una casa della vicina Sulzano, Margherita, una giovane studentessa, che non era rientrata in collegio per timore dei bombardamenti e prendeva lezioni da insegnanti sfollati, si era rifugiata spaurita in un angolo della casa, gli occhi sbarrati, l’orecchio teso spasmodicamente al rombo degli apparecchi, agli scoppi in lontananza; il cuore in tale apprensione da imprimere quei momenti nel ricordo indelebilmente. Superati quegli attimi di paura, si sentì rinfrancata e pronta a far ritorno al collegio, non voleva perdere l’anno.
La guerra intanto «si trascinava con rabbia». Per tutto il mese di novembre si susseguirono bombardamenti nella pianura bresciana. Chissà mai perché? I ribelli erano in montagna, Mussolini stava sul Garda...
Tra il 21 e il 22 novembre aerei nemici passarono in continuazione, fra Borgo San Giacomo e Orzinuovi e lungo il corso dell’Oglio. Il mattino del 22 feci un salto alla scuola di Borgo: nonostante il pericolo gli alunni c’erano tutti, gli insegnanti erano in classe, la scuola funzionava. Ero commosso:
Dopo una notte come la passata caratterizzata da numerose incursioni e bombardamenti in zone vicine, nonostante i nuovi passaggi di aerei nemici ed i bombardamenti proprio nel momento immediatamente precedente l’inizio delle lezioni, avendo trovato questa mattina in tutte le classi di codesto centro la frequenza veramente totalitaria e Voi Insegnanti ed i V. alunni intenti ad un sereno proficuo lavoro sono lieto di esprimervi il mio più vivo elogio in quanto so che tale aspetto di normalità conservato nelle V. classi è frutto di dura conquista di Voi tutti ed è indice sicuro del benefico ascendente esercitato da Voi Maestri sugli alunni e sulle loro famiglie, del V. attaccamento al dovere e del tono di decorosa virilità dato al V. insegnamento, virtù più che mai indispensabile per ricostruire il domani della Patria.
Ai primi di dicembre, nei giorni in cui mi davo d’attorno per aiutare i due insegnanti sospesi, venni a sapere che un gruppo di partigiani della Valcamonica aveva formato, già da circa un mese, un nucleo operativo proprio nella zona del Circolo. Conoscendo i due insegnanti riuscivo a capire come fossero riusciti a cacciarsi nei guai con la GNR . Poco prima di Natale fu arrestato il capo di questo distaccamento, Luigi Romelli, detto Bigio.
Si avvicinava il Natale.
Il Provveditore Pasero, annunciandoci le date delle vacanze, ci aveva inviato gli auguri:
A Voi, alle V. Famiglie e quelle dei V. alunni auguro BUON NATALE, BUONA FINE E MIGLIOR PRINCIPIO D’ANNO che sia quello della VITTORIA e della vera pace!
L’annuncio degli angeli ai pastori quell’anno non arrivò sulla terra. Né il fumo dei nostri sacrifici arrivò fino il cielo: il Padre Eterno non voleva saperne di noi, schiatta caina, che ci stavamo ammazzando fra noi che eravamo fratelli.
Tutti parlavano di pace, di buona volontà, ma intendevano cose affatto diverse, opposte, inconciliabili. Le parole all’apparenza sembravano le stesse, in realtà non erano più salde come roccia, sacre come un giuramento, non più fatte del granito dell’Adamello né della creta che usano i poeti. Erano diventate terreno insidioso come di lama palustre, labirinto di specchi e levantine anfibolie.
Perfino i bambini avevano cambiato i loro giochi: imitando noi grandi, giocavano alla guerra.
La notte di Natale, in una stradina delle Torbiere di Iseo, presso Cremignane, fu arrestato in un’imboscata un altro ardimentoso comandante partigiano, Giuseppe Verginella (Alberto), che aveva combattuto in Spagna, nel maquis francese e in Valsaviore.
Alcuni sacerdoti celebrarono la messa di Natale nei nascondigli dei ribelli. Don Innocenzo Bontempi, al cüradì , giunse fino alla bàita de la ’Al de l’Inferno fra i gruppi ribelli di Esine riuniti per la festività.
Don Giovanni Antonioli, salì al Mortirolo. C’è chi ancora ricorda le parole che pronunciò in quell’occasione.
Fulvio Balisti, commissario politico, alla fine di dicembre pubblicò su «Brescia Repubblicana» un articolo di fondo, Italia bifronte, in cui prendendo atto che anche dall’«altra parte» esistevano persone in buona fede, tendeva la mano per un riavvicinamento.
La risposta alla mano tesa da Balisti giungerà da parte dei ribelli solo a metà febbraio e sarà un altro sdegnoso rifiuto, come già era capitato a Gentile.
A metà gennaio, il colonnello degli Alpini Policarpo Chierici, reduce dalla campagna di Russia, incontrò a Breno alcuni esponenti delle Fiamme Verdi.«Affermava di essere interprete del pensiero del Duce e di poter scendere a trattative coi partigiani, perché aveva l’autorità di farlo. L’impressione che faceva era quella di un fascista galantuomo, che riconosceva il fallimento della politica seguita, che cercava un compromesso con la resistenza, un accordo che desse possibilità di vita ad un fascismo mitigato, e che portasse ad una unione morale tra tutti gli Italiani per evitare la suprema rovina della Patria». Il tentativo fallì: sebbene il nome stesso di Fiamme Verdi richiamasse lo spirito di corpo dei reparti alpini:
Le Fiamme Verdi dei vecchi alpini
i nostri petti fregiano ancora,
noi vogliam libera la Patria nostra
o per l’Italia tutti si muor.
Nel frattempo molte cose erano però cambiate anche fra gli Alpini.
La fiduciaria di Pedergnaga-Oriano mi segnalava - siamo a metà gennaio:
La refezione scolastica non è ancora andata in vigore, né, per mancanza di alimenti, si può arguire se e quando verrà effettuata. L’autorità da me interrogata in proposito non ha potuto comunicarmi nulla di positivo. Da questa mancata refezione ne risulta che tutti i bambini delle cascine e delle frazioni devono ritornare alle loro case per consumare il pasto e poi ritornare di corsa alla scuola. […]
Le insegnanti tutte del Comune, constatati i gravi inconvenienti e soprattutto rimarcando che non essendovi la refezione cade il motivo che ha spinto all’adozione di questo orario esclusivamente per le scuole di Pedergnaga-Oriano, chiedono che venga presa in considerazione l’unita petizione e per il miglior rendimento della scuola e per il generale desiderio della popolazione, chiedono che venga con sollecitudine ristabilito l’orario normale delle quattro ore antipomeridiane più consono alle presenti necessità.
Nei mesi di dicembre e gennaio la refezione aveva funzionato per 41 giorni, con in media 180 presenze giornaliere. Nel resoconto che mandai in Provveditorato relativo ai primi due mesi di attività, ticchettando sulla macchina da scrivere le voci in uscita e le considerazioni a commento, mi resi conto che era stata una resistenza eroica, che la scuola aveva combattuto, aveva tenuto le posizioni; ed ancora aveva la forza per continuare.
In questo clima era comprensibile che alcuni insegnanti non brillassero per entusiasmo nel tesseramento balilla. La sensazione che la nave stesse affondando li rendeva pigri e “attendisti”. Era un atteggiamento che non potevo tollerare: rispettavo i loro punti di vista, ma non transigevo sui doveri.
Ho sempre considerato la tessera dell’ex OB come “tessera annonaria supplementare” per alunni poveri. Desideravo che le iscrizioni all’ OB fossero numerose per evitare eventuali “grane” dall’alto ai maestri. In proposito gli insegnanti della scuola di Pompiano, dopo i provvedimenti dell’estate si mostrarono molto più solleciti, al punto da meritarsi un elogio da parte del Presidente del Comitato Provinciale, Vittorio Gennaro:
Dal prospetto inviato dal Vostro Direttore Didattico, rilevo con vivo piacere che avete raggiunto il tesseramento totalitario dei Vostri alunni. Avete in tal modo dato una prova ben manifesta del Vostro ascendente di educatori e della Vostra concreta simpatia per l’Istituzione, la quale opera per stringere più che mai i giovanissimi intorno alle insegne della Patria che, sulla fede e sull’azione di essi, basa in particolare la sua resurrezione.
Plaudo pertanto al Vostro lavoro paziente, tenace e fervido da Voi svolto e mi stimo sicuro che anche in avvenire darete il Vostro efficace e consapevole contributo all’Organizzazione nell’attuazione dei suoi compiti spirituali, fisici ed assistenziali.
Sono stato accusato di aver voluto fare dell’OB uno strumento di propaganda e di esaltazione del fascismo, come anche di aver spinto i maestri a prendere la tessera del partito. Con i problemi pressanti che si dovevano affrontare e risolvere, non avevo tempo di far propaganda. Non ero il tipo.
Un niente sarebbe bastato per chiudere la refezione. Le sovvenzioni dal Comitato Provinciale non erano sempre puntuali, e i fornitori bisognava pagarli, la legna era scarsa e scadente; vi era poi il pericolo molto grave delle continue e improvvise incursioni aeree: la prudenza suggeriva di non avere tanti bambini tutti insieme in uno stesso luogo al chiuso.
Le difficoltà infatti non mancavano, intrecciate l’una all’altra, come spesso accade (i fahtíde i vé mài de per hé “le difficoltà non vengon mai sole” mi suggeriva un modo di dire dialettale).
Verso la fine del mese di gennaio inviai una circolare con la quale fissavo delle riunioni con gli insegnanti comune per comune. L’occasione era stata fornita da un nuovo scritto del Ministro. Era veramente fuori dall’ordinario che un ministro ci desse così direttamente delle indicazioni di carattere pedagogico, che ci facesse discutere sulla base di una traccia che egli stesso ci forniva. Devo dire che se il titolo a tutta prima poteva sembrare generico (Carattere e costume: compiti dell’educatore) le argomentazioni erano quanto di più concreto ci si potesse aspettare da un ministro.
Le riunioni duravano circa tre ore, dalle nove alle dodici. Dopo una mia breve introduzione in cui illustravo il motivo della riunione e ribadivo che il maestro non poteva, dato il momento, estraniarsi alla vita del Paese, si ascoltavano gli interventi degli insegnanti che esponevano le loro osservazioni sulla circolare del Ministro. La riunione era poi l’occasione per ascoltare le esigenze delle singole sedi (riscaldamento) e di dare chiarimenti sui programmi, sugli orari, su come compilare le pagelle, sui libri di testo, e altre questioni di minore importanza.
I maestri esponevano con chiarezza le loro opinioni suscitando l’interesse dei colleghi: constatavo non senza soddisfazione che tutti gli insegnanti erano ben coscienti della drammaticità del momento e dei “doveri dell’ora”. Si sentivano realmente sulla breccia. Avevano capito perfettamente il pensiero del ministro e le disposizioni di conseguenza.
Nonostante i miei ripetuti avvertimenti ed i consigli prodigati a tutti durante il lavoro preparatorio delle riunioni, non tutti furono in grado di tradurre la propria trattazione in indicazioni pratiche, in suggerimenti didattici adatti a formare il carattere e il costume; a volte si limitarono a riformulare le parole del ministro, pur ricche di luce, di fede, e di patriottismo, mentre avrei preferito che i relatori dessero per dimostrata l’esistenza della loro fede e scendendo nel terreno concreto della scuola indicassero in forma semplice (qui una della maggiori difficoltà), senza orpelli oratorii, come il maestro forma il carattere dei propri alunni, attingendo in modo speciale alla situazione presente che, sebbene non fosse l’ideale per un’opera serena e continua, offriva meravigliosi spunti per evidenziare il valore della fermezza d’animo, dell’altruismo, dello spirito di sacrificio nella vita dell’uomo e nella vita dei popoli. Mi sarebbe molto piaciuto che tali indicazioni venissero dai maestri più anziani, anche per indirizzare gli insegnanti giovani, che nell’Istituto Magistrale non avevano imparato ad insegnare e a formare il carattere.
Alcuni maestri seppero imprimere al proprio commento accenti perfino commoventi di grande fede e di forte volontà. Le stesse cose, udite da me, non potevano avere lo stesso effetto, perché sono quasi connaturate alla carica. Sentendo i suggerimenti dalla viva voce di un collega più anziano, che per primo le ha sperimentate, il giovane maestro ne trae quei saldi proponimenti che lo spronano a far bene e meglio.
Inviai otto fra le migliori relazioni al provveditore, segnalando in particolare quella del giovanissimo maestro Giovanni Pasquini, di soli 18 anni, perché aveva dato prova di non comune maturità. In seguito questo maestro diventerà sindaco amato e stimato di Borgo S. Giacomo.
Di quel giro di visite mi ricordo come fosse ieri che le strade erano in pessime condizioni per le pozzanghere e la neve ghiacciata, il tempo brutto: il venerdì poi fui costretto a fare il viaggio di andata e ritorno da Pedergnaga mentre infuriava una bufera di nevischio che mi pungeva la faccia come aghi.
Credere, obbedire, combattere i tre pilastri dell’impero fascista stavano sgretolandosi (le grandi parole rimpiccioliscono gli uomini), o meglio stavano subendo una radicale metamorfosi: se prima avevano un aspetto che sembrava monolitico e indefettibile, in cui rispecchiarsi o contro il quale scagliarsi, ora avevano assunto una patina con marezzature iridescenti che variava a seconda del punto di vista. «Il Ribelle» scriveva:
Questa parola credere è la prima del tristemente famoso trinomio fascista che costituisce una delle radici principali dell’errore etico del Regime. […] Per poter essere particolarizzata, espressa cioè in forme umane, la fede ha bisogno di esistere di per se stessa come substrato fertilizzante di ogni realtà. Non si può credere e perciò pensare ed agire per questo o per quell’altro partito, per questa o per quell’altra religione dello spirito, per questa o per quell’opera sociale, se non si creda a priori nel significato e nel valore dell’umanità in sé, se non si ha una serena e cosciente fiducia nella vita come fenomeno spirituale.
Dov’era la differenza col mio credere, con la mia fede? Era poi così diverso il mio sentire?
Mi giunse in quei giorni la notizia dell’uccisione di Móha , un ragazzotto di Esine che era coi partigiani: per la sua fede aveva perso la vita, era morto per non tradire i compagni. I Tedeschi l’avevano trascinato per le vie del paese per tutta la notte e poi verso il mattino l’avevano ammazzato con un colpo alla nuca, in piazza, poco prima dell’ Ave Maria . Le donne che andavano a messa videro il corpo del giovane ancora riverso sulla neve.
Il pensiero non mi dava tregua, mi ghermiva il cervello, mi strattonava violentemente, come volesse portarmi a una conclusione, come ci fosse un insegnamento da apprendere, che io, di dura cervice, ancora mi rifiutavo di vedere: l’un corno della fiamma antica martellava: «Chi ha paura ha già perso in partenza», e infatti avevo imparato a non temere gli avvenimenti, ma a fronteggiarli con le risorse che avevo al momento. Fin qui ci siamo. Ma l’altro corno ancora non s’accendeva. Lo zolfanello fulminante aveva la capocchia inumidita: ci volle lo sguardo disincantato, prosciugato di tutte le lacrime, ammonito all’ultimo istante dal ricordo superstite di un severo verso latino passato in quell’attimo nella memoria come il guizzo di una stella cadente, propter vitam vivendi perdere causas , perché anche la seconda lingua di fuoco tracciasse sulla mia pelle, come un marchio nel vivo: «Chi è morto è fuori gioco, ha già perso tutta la posta». Questo motto mi scelsi a nuovo palladio, per difendere del resto nient’altro che il maggior dono che Dio ci abbia dato, la vita.
Non so dirvi come tale conclusione mi avesse lasciato per un attimo inebetito. Lo sguardo di San Paolo sulla via di Damasco non doveva essere molto diverso; si parva licet componere magnis .
Mi è venuta l’immagine delle due fiamme dantesche – la figura di Ulisse ricompare sempre nei momenti cruciali – perché in quei giorni non sognavo altro che un po’ di legna e un bel fuoco, per me e per le scuole del circolo.
Ameraldi - Caveat lector by Vittorio Volpi is licensed under a Creative Commons
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Ultimo aggiornamento 24 marzo 2010Copyright © 2009 - Vittorio Volpi
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