Oberto Ameraldi: Brescia : Fondazione Civiltà Bresciana, 2000. - (Cattolici & Società ; 11), p. 433-453. |
9.05. Orzinuovi, la guerra, l’epurazione (parte quinta)
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Come non avessi già tante incombenze, mi toccò di assumere anche la presidenza del Comitato comunale Balilla. Il Presidente del Comitato Provinciale, Vittorio Gennaro, mi scrisse informandomi che il camerata De Giuli per motivi di lavoro aveva dato le dimissioni e il Reggente del Fascio di Orzinuovi aveva fatto il mio nome. Sapeva che dovevo badare a due Circoli, tuttavia era ottimista e si attendeva una mia risposta affermativa. Gli risposi accettando. A dir il vero con un filo di rassegnazione: ma se toccava a me lavorare, pensavo, mi si doveva concedere che avrei fatto un po’ di testa mia.
Nell’imminenza dello scadere di un ennesimo bando di arruolamento nell’esercito della Repubblica Sociale (25 maggio), i partigiani distribuirono un volantino incitando i giovani ad unirsi piuttosto alle bande dei ribelli che presentarsi in caserma.
Mi posso immaginare come potesse sentirsi un giovane che non avesse già deciso: strattonato da una “banda”all’altra coi medesimi argomenti. Al bando, i partigiani risposero con il seguente volantino:
La caserma che ti attende sono i nostri monti già bagnati dal sangue dei tuoi padri che lottarono contro i tedeschi. Se ti consegni sei un vile; tradisci l’Italia, le speranze del popolo, la fede di quelli che da oltre 20 anni gemono sotto il giogo fascista. […] Per te, per il nostro popolo, con fede nell’avvenire, in obbedienza ai nostri martiri.
Il 24 maggio, a Esine furono uccisi due pacifici boscaioli. E un mese dopo alla baita Campelli, sui monti di Artogne, cadeva il primo partigiano esinese, Giacomo Marioli (Tròt), aveva solo 19 anni.
Alla scuola erano state impartite tre direttive fondamentali: la ruralità, il lavoro e l’educazione all’aperto. Nulla mi poteva trovare più consenziente.
Non si rinunciava certo alla fondamentale preparazione culturale, ma si voleva che «soprattutto la scuola delle masse popolari aderisse alle loro condizioni e alle loro effettive aspirazioni per portarle – nella concreta realtà e non soltanto in vana ideologia – ad un livello il quale sia veramente più alto».
Le “masse popolari” sentivano intimamente la straordinaria continuità fra la natura e il lavoro dell’uomo, la sostanziale contiguità del sentimento di Patria e quello di religione, la specularità fra dovere individuale ed etica civile. La scuola attraverso la ruralità cementava in un tutto unico questi vari aspetti. Tale concretezza dava così attuazione alla norma che “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica” fosse la Dottrina cristiana. Essere educatore, educatore italiano, significava intendere religiosamente il proprio dovere, e non considerarlo come ossequio ad un’ideologia, a fede di partito o svilirlo a contropartita tabellare dei “diritti”.
“Caeli enarrant gloriam Dei...”, i cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento proclama l’opera delle sue mani. Se dunque il fondamento di ogni conoscenza è l’ammirazione dell’opera di Dio, l’insegnante che mostra all’alunno la realtà delle cose e alla vergine mente ne spiega gli arcani, modellandone insieme e cuore e carattere, adempie in forma sublime al proprio compito di educatore.
Queste indicazioni mostravano, a chi le sapesse appieno valutare, come la religione fosse “il coronamento dell’educazione”. E qui vorrei, se mi permettete – senza esser saccente o far uso di dotti cuiussi –, richiamarmi più al concetto latino di religio che non al concetto odierno di “religione”. Cioè a quell’insieme di obbligazioni, di scrupoli, di doveri, di costumanze e di culti, di natura etica, civica e patriottica, che tengono insieme (re-legere “unire, legare bene insieme”, secondo l’etimologia ciceroniana) in un tutto unico la società, che si richiamano a principi di natura quasi soprannaturale, fissati ab aeterno – fondanti, diremmo oggi. Il Cristianesimo ha aggiunto poi a tutto questo la carica rivoluzionaria della carità e della scoperta dell’amore, innervando nell’individuo una spinta virtuosa verso il bene collettivo che origina dall’ intus homini, dalle prerogative più intime e degne dell’essere umano.
Pedalando, questi pensieri mi venivano in mente. Credevo si fossero cancellati dalla memoria, ma con sorpresa li vedevo riemergere tutti. Ed è rinnovato piacere rifarmeli in mente mentre a voi li racconto: quel fremito lo risento ancor vivo dentro le braccia, lo sguardo vago a vedere quel che la mente per il futuro di buono e di bello s’immagina. Questi pensieri, più che i fatti concreti vissuti, mi ridanno il clima denso d’allora, come se col tempo nulla davvero andasse perduto, com’è invece diffusa opinione.
Non credo che al Ministero avessero colto il carattere pratico che la scuola doveva avere, tale da farlo diventare un argomento d’avanguardia nella ricerca pedagogica. In proposito, ricordando anche le letture di quegli anni, mi vengono in mente l’esperienza precorritrice della Escuela del Ave Maria di Andrés Manjón; il pedagogista Eugène Dévaud, che proprio in quegli anni stava terminando le ricerche sulla “scuola attiva” in prospettiva cristiana; e non da ultimo i “nostri” Mario Mazza e Agazzi.
Penso piuttosto che le direttive scaturissero da un’ineludibile esigenza di praticità, imposte dall’emergenza del momento.
“Lavorare” a scuola divenne una consegna da prendere sul serio. La cosiddetta “scuola del lavoro” non era un diversivo, una scusa per non “fare scuola”, ma richiedeva lo stesso impegno sia da parte degli alunni che degli insegnanti. Devo dire che io mi trovavo proprio nel mio elemento e ricordavo i miei anni d’infanzia, le infinite cose imparate nella fucina del nonno. E visitando a turno le classi un po’ mi rivedevo in ciascuno dei 1.215 alunni del circolo.
C’erano degli indubbi benefici per la salute e l’irrobustimento fisico, ma non mancava una solida componente pedagogica: attraverso il lavoro, il lavoro serio, produttivo, con dei frutti e dei risultati, l’alunno acquisiva in modo indelebile una preparazione pratica molto efficace. Imparava da sé, in modo naturale. Molto si deprecava il “conformismo coattivo”, “causa non ultima di tanti mali”.
Data l’estrema penuria di generi alimentari, molti avevano pensato di coltivare dei piccoli ritagli di terreno incolto per ricavarne un po’ di sostentamento. C’è chi ha celebrato con tono forse troppo elogiativo la «bellezza e poesia degli orti di guerra». Anche la Scuola seguì il medesimo esempio. Ottenni dai Comuni, dalle parrocchie e da privati alcuni appezzamenti di terreno vicini all’edificio scolastico: furono coltivati in prevalenza ortaggi, ma anche granoturco e frumento.
Le cose non andarono tanto bene proprio ad Orzinuovi, dove il campicello venne requisito dal Comitato Prezzi, insieme all’edificio scolastico stesso. (In realtà la proposta al Provveditorato di cedere l’edificio scolastico era stata mia: temevo la concentrazione degli alunni in un solo edificio, in caso di bombardamenti; e poi sapevo che il Commissariato vi avrebbe apportato notevoli migliorie).
Per il resto i campicelli funzionarono egregiamente e con ottimi frutti, è il caso di dirlo.
Ai lavori partecipavano tutti gli alunni: i maschi, durante la stagione invernale furono occupati in lavori col legno, nella preparazione degli attrezzi agricoli e perfino di conigliere (due maestre, a Quinzano e Ovanengo allevarono anche bachi da seta); le bambine furono occupate nei tradizionali lavori donneschi e di economia domestica. Purtroppo non si trovava facilmente né tela, né filo: il lavoro si limitò a esercizi di rammendo e rattoppo, più che di taglio di modellini.
Fui molto orgoglioso dei risultati, perché dimostravano che si era lavorato bene. E mi aspettavo maggiori frutti l’anno successivo: contavo sulla maggiore esperienza e sull’assegnazione di nuove aree da parte dei Comuni.
Nella relazione per il Provveditorato, così concludevo:
La scuola del lavoro, anche se i programmi non sono ancora adeguati alle possibilità che si intravedono, darà certo ottimi risultati se la si saprà gradatamente portare su un terreno sempre più aderente alle esigenze dell’ambiente dove sorge ed opera, perché essa interessa alunni e maestri.
L’anno scolastico ormai si avviava al suo termine: le lezioni terminarono il 31 maggio.
Dal Ministero era giunta l’indicazione di organizzare la cosiddetta “assistenza didattica estiva”, creando notevole malcontento. Nella riunione di fine anno con tutti i maestriavevo cercato di spiegare le finalità dell’iniziativa, la cui bontà era sicuramente da lodare. Ma certo, per un simile esperimento sarebbero state desiderabili condizioni migliori di serenità e maggior senso della disciplina, difficilmente riscontrabili in quelle ore in cui la situazione generale era tanto incerta e fluida. Gli insegnanti, abituati com’erano a disporre completamente dei mesi estivi, risposero con un senso di benevola rassegnazione, che non poteva essere presa per entusiasmo. Avevano turni di vacanza che non superavano le tre settimane continuative.
L’assistenza didattica estiva iniziò il 7 giugno e terminò a metà settembre. Ad Orzinuovi copriva quattro giorni per settimana, dal martedì al venerdì; negli altri centri solo due giorni.
A metà giugno fu organizzata la “Settimana del profugo”: la scuola si confermava l’istituzione più affidabile e sempre in prima linea per queste iniziative di solidarietà.
Non fu un’estate di vacanza. Oltre all’assistenza didattica estiva organizzai la colonia fluviale per i balilla, che durò fin verso metà agosto. A Orzinuovi gli iscritti erano 350 e 100 nella frazione di Coniolo, qui la colonia si era data il nome «Bimbi al sole». Per il pranzo di mezzogiorno funzionava una refezione e nel pomeriggio riuscivamo a dare anche una merendina a tutti i bambini. C’erano due cuoche, una di esse, la bidella della scuola, era la madre del partigiano Severino Micheli.
Il mio congedo estivo rischiò di ridursi a soli cinque giorni. Il provveditore me lo voleva anticipare dall’11 settembre al 25 di agosto. Gli scrissi immediatamente e fu tanto comprensivo da concedermi le ferie nelle date che avevo già indicato. Penso che il provveditore non abbia potuto resistere a questa mia motivazione e abbia un po’ sorriso:
È per me necessario che il congedo cominci di domenica e termini di domenica, perché possa usufruire dell’abb. ferr. domenicale, che mi permette di viaggiare decorosamente in 1ª classe, con una spesa alla portata di un dir. did.
Con l’arrivo dell’estate, la guerra depositò anche nella nostra provincia il suo tragico fardello di lutti, distruzioni e paura. Dalla valle giunse la notizia dell’incendio di Cevo, avvenuto il 3 luglio. La notte del 13 luglio Brescia fu fatta segno di un violento bombardamento anglo-americano, con 190 morti. A Iseo Silvio Bonomelli venne ucciso sulla porta di casa da una sventagliata di mitragliatrice (17 luglio). Il 7 agosto veniva ucciso in combattimento un Esinese, Flaminio Salvetti.
E un brutto giorno della fine di luglio, mentre coi bimbi si era alla colonia giù all’Oglio, non lontano dal ponte fra Orzinuovi e Soncino, il cielo fu squarciato dall’urlo ossessivo della sirena dell’allarme antiaereo: stavano arrivando! Il vociare dei bimbi di colpo s’ammutolì; dopo qualche minuto dall’orizzonte, dietro le boschine, giunse il rombo di una squadriglia di apparecchi, cupo e terribile come un terremoto. Sentii percorrermi il corpo un brivido che già avevo provato. Ma quando?
D’istinto pensai di radunare i bambini. Poi mi ricordai che avevo ceduto la scuola appunto per evitare assembramenti e cambiai subito idea. I bambini erano impauriti, gridavano, si chiamavano, correvano di qua e di là, non si riusciva a tenerli. Mi tremavano le ginocchia, ma sapevo che cosa fare. A uno a uno li presi, aiutato dagli insegnanti e dai più grandicelli, e li disposi rannicchiati a terra ben distanziati lungo l’alberata della riva, il più lontano possibile dal ponte. Appena in tempo! Fu un istante infernale. I bambini si tenevano la testa fra le mani, non volevano sentire, non volevano guardare; balbettavano monosillabi, uggiolavano come cagnolini, con gli occhi sbarrati, una lacrima rigava la guancia, guardavano senza vedere, ancor trepidi dopo lo scampato pericolo, come “le tremule foglie dei pioppi”.
Ci volle del bello e del buono a calmarli, dopo. Chi aveva pianto continuò ancora per buon tratto a singultire, piano, tirando su col naso ogni tanto, mentre si passava una mano sugli occhi a dir basta a quel pianto. Ed anche noi grandi eravamo scossi non poco. Con quel rombo ancora nella testa, e un tremito diffuso in tutte le membra per il grande spavento, raccogliemmo le nostre cose ed ancora tutti basiti ci avviammo verso il paese. Avevamo una brutta avventura da raccontare.
Giunto in direzione, nelle mani un tremolio che non riuscivo a calmare, trascrissi per i fiduciari una circolare del Provveditore giunta da qualche giorno. Ora quelle parole avevano davvero un senso:
In seguito a nuova nota del Provveditore agli Studi, ricordo ancora una volta che in caso di incursioni aeree nemiche, i Fiduciari sono tenuti a darne sollecita comunicazione alla Direzione e fornire le notizie relative agli Insegnanti, agli alunni, agli edifici scolastici e al materiale scol.
Trascrivo parte della nota sopraccennata: «Mentre ricordo che ognuno di noi deve attualmente considerarsi mobilitato civile e che la vita collettiva può essere ripristinata soltanto se ciascuno compirà il proprio dovere senza tentennamenti o tentativi di evasione (che potranno del resto essere colpiti con i più severi provvedimenti disciplinari ed anche colla destituzione per abbandono di posto) invito alla più scrupolosa osservanza delle seguenti disposizioni: 1) Accertamento immediato dei danni provocati dall’incursione ed immediata comunicazione. 2) Provvedere con tutti i mezzi perché il regolare funzionamento degli Uffici e dei servizi scolastici non subiscano interruzioni»
Col tempo cristianamente si può perdonare, si può comprendere e scusare tutto, le ragioni politiche e le necessità della storia. Col tempo e le buone parole si può lenire il dolore, la vita continua e la paura non dura per sempre; ma ’l regórt l’anvègia mai, “il ricordo non invecchia mai”.
Ma che guerra era prendersela con dei bambini!Guardando a quei volti fiammanti e lampanti come zecchini, baciati sugli occhi da grazia innocente e da soave bontà, ma ora impauriti e dolenti, nel segreto dei pensieri che non giungono a farsi parole, prese radici un proponimento d’una forza grande e ferma: i bambini devono vivere, a costo della vita. Per salvarli ci si poteva buttare nel fuoco. Dovevamo pur risarcirli di quel che avevam fatto loro patire, delle nostre pazzie.
Per alcuni giorni la colonia fu sospesa: al ponte era rischioso ritornare. L’incursione del 23 luglio aveva scombussolato tutta l’opera di assistenza: la colonia di Orzinuovi ridotta ad una cinquantina di presenti funzionò ancora fino ai primi di agosto all’Arrighino e poi venne chiusa. Il ponte sulla ferrovia fu ricostruito solo nel 1950.
La settimana successiva il ponte venne nuovamente preso di mira. Fu colpita anche un’ala dell’edificio della colonia, fortunatamente senza vittime.
L’aviazione nemica dal 20 agosto aveva intensificato la sua opera di intimidazione colpendo indiscriminatamente la popolazione civile. Il 23 agosto, mentre ero in ferie, Orzinuovi venne nuovamente bombardata: obiettivo “militare” questa volta era l’asilo “G. Garibaldi” ospitato nei locali dell’Oratorio. Il 13 settembre, mentre viaggiava sul tram che lo portava ad Orzinuovi veniva colpito il maestro Giacinto Scanzi di Borgo San Giacomo. Una maestra del circolo aveva avuto la casa distrutta da un bombardamento.
A Esine, dove ero ritornato quasi da clandestino perché la mia famiglia era strettamente sorvegliata, la situazione era quanto mai tesa. I Tedeschi avevano bisogno di legna e i partigiani minacciavano di uccidere chiunque salisse in montagna a tagliarla. I Tedeschi inviarono allora un plotone per un rastrellamento, ma dovette ripiegare. Non potendo digerire lo smacco, ritornarono il 18 agosto e incendiarono parecchie cascine, minacciando di bruciare tutto il paese. A tali notizie gli abitanti di Esine accorsero in chiesa, senza bisogno di suonar le campane, hènha hunà le campàne . Il buon parroco Pedrotti fece voto alla Madonna che se i Tedeschi avessero risparmiato il paese, ogni anno avrebbe ricordato il suo intervento miracoloso con una festa votiva e un triduo per i defunti. E così avvenne.
Un ordine del Ministero richiamò alle loro scuole tutti i direttori didattici in congedo. Nel frattempo però alcuni sabotatori della brigata «F. Lorenzini» in una galleria fra Marone e Pisogne avevano fatto saltare un treno merci di rifornimenti destinati ai tedeschi. Vi furono feriti fra i Tedeschi e il personale. Diedi assicurazione del mio arrivo a Orzinuovi solo il giorno 3 settembre.
L’assistenza didattica estiva nel resto del circolo terminò il 10 settembre: aveva visto impegnati 113 insegnanti e assistito 1250 alunni circa in 24 sedi. Fui molto soddisfatto dei risultati, me ne compiacqui con gli insegnanti:
Se devo esprimere un giudizio sincero sull’ass. didattica estiva che, dati i momenti di incertezza che viviamo, è riuscita una FATICA ED UNA RESPONSABILITÀ NON INDIFFERENTE PER QUESTA DIREZIONE, questo giudizio è INCONDIZIONATAMENTE FAVOREVOLE, e ciò per le seguenti ragioni:
1° Le famiglie hanno sentito che la scuola si interessava dei loro figli ed in parte hanno approfittato di tale provvidenza;
2° È stato rotto il ghiaccio del tradizionalismo più ottuso che portava gli insegnanti a considerare quasi un dovere sacro quello di disinteressarsi per mesi e mesi della scuola e dei propri alunni; insistendo su questa strada si potrà giungere a fare del maestro il vero educatore della gioventù, ponendolo al posto che logicamente deve occupare nella considerazione delle famiglie e dello stato, come avviene nei più progrediti paesi del mondo.
3° Quando il maestro dedicherà tutto il suo tempo alla scuola dovrà avvenire che gli si riconosca, prima o poi, quei diritti ad un trattamento economico adeguato alla sua funzione e che fino a oggi non ha mai avuto e, per essere sinceri, molto spesso non si merita ancora.
4° Quando l’ass. did. estiva non troverà ostacoli nello stato di guerra, potrà diventare una palestra di utili ed indispensabili meditazioni sul lavoro scolastico svolto nel periodo dell’anno scol. precedente, di nuove esperienze nel campo del lavoro scolastico, di scuola all’aperto, di educazione fisica e di addestramento a quegli sport che sono ormai ritenuti integrativi nell’educazione morale e fisica dei giovani (nuoto, alpinismo, ecc.)
Ma nella relazione al Provveditore non tralasciai di segnalare la situazione di ostilità di due insegnanti di Gerolanuova, frazione di Pompiano.
La questione aveva dei precedenti abbastanza seri. Mi dispiaceva, soprattutto pensando alla bella lettera che mi avevano mandato a gennaio gli insegnanti di quella frazione. Smagandomi dall’idea che mi ero fatto, compresi che alle spalle s’erano un po’ fatti gabbo di me, mostrandosi a quel modo contenti di vedermi “sentinella avanzata” in terra di Bulgaria.
Il Provveditore, dietro pressioni della Federazione dei Fasci Repubblicani, a sua volta informata dalle autorità politiche locali, all’inizio di agosto (i giorni dei bombardamenti su Orzinuovi) mi aveva scritto una lettera “urgentissima” in cui mi chiedeva conferma delle voci che gli erano pervenute sull’attività “antipatriottica” (cioè, antifascista) dei due insegnanti. Mi recai subito a Pompiano: non c’era la GNR, il Podestà era assente; potei solo conferire col Segretario Politico (sig. Colosini), il quale, dietro mio invito e conformemente alla richiesta del Provveditore, mi rilasciò una dichiarazione in cui, se ben ricordo, era detto che i due maestri, un tempo attivi propagandisti, ora si erano moderati e non lasciavano troppo a desiderare: certo non brillavano per fervore fascista.
Essendo mio dovere evitare guai alla scuola, sapendo inoltre che il tesseramento all’ OB era praticamente nullo in tutte le classi, invitai tutti gli insegnanti, riuniti in cortile, ad incrementare tale tesseramento, anche per non dar adito ad inchieste, che avrebbero portato a gravi provvedimenti disciplinari, una volta accertata la responsabilità della propaganda negativa. Invitai gli insegnanti ad esser più ligi ai doveri del loro stato. In seguito visitai altre due volte la scuola. L’assistenza didattica estiva fu praticamente boicottata da quegli insegnanti: gli iscritti furono pochissimi.
Sollecitato nuovamente dalla Federazione, il Provveditore ordinò di inviargli d’urgenza una relazione riflettente le presenze alla assistenza didattica estiva nel capoluogo di Pompiano e frazione di Gerolanuova. Mi trovavo (2ª quindicina di agosto) in ferie in Valcamonica: la Sig.na Assandri che mi sostituiva inviò nei due centri un formulario da riempire, per rilevare le presenze degli alunni. Tanto Pompiano che Gerolanuova segnarono i frequentanti l’assistenza estiva di proprio pugno. Tali tabelle, inviate d’urgenza al Provveditore provocarono i seguenti provvedimenti: avvertimenti disciplina
ri per la maestra fiduciaria di Pompiano (di ruolo) e per le due maestre di ruolo di Gerolanuova. Sospensione dal posto a datare dal 1° settembre per i tre maestri provvisori.
Quindi tutti i cinque maestri di Gerolanuova venivano puniti.
Il Provveditore otteneva in tal modo di poter dire alla Federazione che i due maestri di cui si chiedevano informazioni “erano stati” suoi dipendenti, ma che dal 1° settembre non dipendevano più da lui e quindi egli non era responsabile delle loro azioni né tenuto ad ulteriori provvedimenti.
Era un’impresa riuscire ad intendersi con la parte avversa. Due dei tre maestri provvisori mi considerarono responsabile principale del provvedimento di sospensione a loro carico. Proposi un incontro al maestro che mi sembrava più accanito e risentito, ma rifiutò sdegnoso e sarcastico.
Nel frattempo il Comune di Orzinuovi aveva nominato questo stesso maestro come insegnante alla Scuola Media, avendone i titoli. Ma la nomina fu poco dopo revocata, a causa della sua posizionepolitica, non gradita, evidentemente, al podestà.
Smesso il cipiglio dell’adontato, venne da me per chiedere che lo appoggiassi. Non essendo in mia facoltà il far qualche cosa per lui, gli indicai la strada da seguire, e cioè di chiarire con l’Ufficio Politico della Federazione la sua posizione, limitandomi a dirgli che, se fosse venuto in settembre da me, quando l’avevo invitato, avrebbe potuto iniziare due mesi in anticipo tale pratica.
Per la nomina, non si poté fare nulla.
I due maestri pensarono bene, tuttavia, di continuare la loro attività antipatriottica, l’uno praticando il mercato nero, l’altro ascoltando Radio Londra. Sicché ai primi di dicembre me li vidi comparire nuovamente in Direzione, chiedendo il mio aiuto perché colpiti da mandato di cattura.
Mi chiedo che cosa li abbia spinti a venire a cercare aiuto da me. Avevo la tessera dell’odiato nemico, come potevano pensare che fossi dalla loro parte, che potessi aiutarli. Maledii la mia dabbenaggine che mi aveva cacciato in una simile situazione. Ma “un supplice non si può rimandare” dice una legge antica. Messo con le spalle al muro dalla mia stessa coerenza, non potei rifiutarmi: se ero davvero così buono come mi spacciavo di essere, era venuto il momento di dimostrarlo fino in fondo.
Mi pregarono di recarmi da un capitano della ex GNR di Chiari (che in quel momento si trovava presso la caserma di Orzinuovi) a vedere di che cosa si trattasse ed a fare una buona deposizione per loro. Accettai, benché incerto sui risultati. Andammo insieme in caserma, li feci attendere fuori, affinché non avessero a pensare che li volessi consegnare.
La motivazione del mandato di cattura era «per attività sovversiva». Tentare di scagionarli avrebbe compromesso anche me. Feci presente allora che si trattava di due maestri ex chierici, poveracci, senza coraggio ed iniziativa, ecc. ecc. e che sarebbero stati ingiustamente rovinati dall’arresto e da una denuncia così grave.
Ebbi dal Capitano assicurazione che considerava la questione politica eliminata, ma che, avendo fatto perquisizione nei rispettivi domicili dei due incriminati e relative scoperte, avrebbe denunciato l’uno, a piede libero, per infrazioni annonarie ed avrebbe arrestato e denunciato il secondo, perché trovato in possesso di indumenti militari e di una radio.
I due maestri furono contenti di come si era risolta la vicenda. Il primo se la cavò con una multa; il secondo, costituitosi, dopo 15 giorni di prigione, fu rilasciato. Ricorse ancora a me per riottenere la radio! Scrissi in tal senso al Maggiore della GNR, Settimio Gelosi, mio antico Comandante, pur sapendo che il tentativo sarebbe risultato vano.
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Ultimo aggiornamento 24 marzo 2010Copyright © 2009 - Vittorio Volpi
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