Aristocrazia (la pappa fatta a nessuno)

 

Sento in me la tua infinita dolcezza,
non so se chiamarlo amore, ma ci siamo molto vicini.
E mi va anche bene, mi potrebbe bastare.

Hai percorso tutti i miei nervi, calmo caldino fin nei capillari remoti,
una dolce energia s’è diffusa nella gran grotta che abbiamo nel corpo,
è un veloce passa-parola, si risvegliano in catena le cellule.

Dici che è questa la nobiltà della razza? L’orgoglio dei corpi?
Raggiunto quest’apice, dici che non si torna più indietro?
Che basta averne concetto, per sentirsene emuli eletti?
Qual dio ti ha fatto così? Ach! Sei già la perfetta risposta.

Con vilipendio ci martoriamo la carne in perenni quaresime.
Non amo che si debba morire come povere bestie
di fatica, di caccia, di guerra o per un coltello di pietra.
Quest’unico corpo è radicato alla terra, alla vita:
non mi sono mai visto pensiero sospeso, animula vagula.
Non capisco il paradiso che promette lo spirito.
Che vorrei più della bontà, già infinita, di persona mortale?
Non so immaginare – né vedere – più grande dolcezza di quella che sento.

Impugno per l’elsa il fiero mio gladio:
se devo combattere: bontà mi comanda, dolcezza mi guida.
Difendo la vetta cui son pervenuto, la rupe selvaggia.
Adulatori, parassiti, pigri figuri: piazza pulita.
Non son missionario per il volgo profano: ciascuno si sveni da sé,
beva quel sangue, si deterga il sudore, si sfianchi a combattere.
Ognuno si scopra che vale. Non voglio fan né tifosi, né adepti o seguaci.

 

Cremignane, 12 luglio 2011 (pomeriggio)

 

È matta la vita La danza



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