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Finché non siam dèi, che viva il corpo che abbiamo.

Come farei a sentire la cara voce che chiama il mio nome?
Come farei a distrarmi guardando il tuo volto,
così nuovo ogni volta: quel che di te mi dai a conoscere.

Come farei senza sorriso: la carne altra carne si mangia.
I bianchi denti mostran quanto di me si vorrebber saziare,
quanto mi stiman per buono e vorreber nutrirsi di me.
Fammi pure a brandelli, ogni morso nuovo ricresce.

Che farei senza carezze: modellarmi nel bello e nel buono.
Amo tutto il tuo corpo, dai capelli alle piante dei piedi.
Ti adoro devoto quando ti rechini col dorso al mio grembo.
Un abbraccio: ti sorreggo la nuca. Una carezza: ti parlo di me.
Abbiamo le fronti sudate, quant’è buon da lappare quel sale.

Che farei senza i palpiti che ribatton sul petto abbronzato?
Che farei senza il tremito con cui osano in punta le dita?
Il mio corpo è tutta un’antenna, attenta, in attesa:
captare e mandare segnali nell’etere.
Siam bassi animali: un grano di polline e l’estro c’impazza.

Che farei senza il tuo timbro di voce?
Vibrazioni di un petto che racchiude il tuo cuore
mi rivibrano in seno come tuo seme, il tuo DNA.

Il fulmine d’un temporale in arrivo mi abbaglia:
sono “in trasmissione” con te:
aura e òra han la medesima radice latina.
Son fatto di selce: batti un colpo se vuoi che nasca scintilla.
Siam sincroni corpi: da qui in poi ci possiamo incontrare.

 

Cremignane, 10 luglio 2011 (sera)

 

Cyber È matta la vita


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